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Ovidio come mito da riproporre anche nel nostro tempo

Sabato 21 novembre 2009, nel Salone di Rappresentanza dell'Amministrazione Provinciale di Taranto, si sono svoltii lavori del Convegno su "Ovidio e l'esilio. Riflessioni duemila anni dopo", organizzato dalla Delegazione Tarantina della Associazione di Cultura Classica "Atene e Roma" (A.I.C.C.) con il patrocinio dell'Assessorato alla Scuola e all'Università della Amministrazione Provinciale di Taranto

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In apertura dei lavori ha preso la parola il Vice Presidente della Amministrazione Provinciale di Taranto e Assessore alla Scuola e Università, dott. Emanuele Fisicaro, che ha portato il saluto suo e della Amministrazione rappresentata, ha manifestato il suo plauso all'iniziativa e si è augurato che siano più frequenti le occasioni culturali di questo tipo, perché di esse si sente un vivo bisogno e perché corrispondenti all'anima più vera della nostra storia, cultura e società. Dopo brevi parole introduttive del Presidente della delegazione tarantina dell'A.I.C.C., Prof. Adolfo Federico Mele, il Prof. Giovanni Cipriani, docente di Letteratura Latina nonché Preside di Facoltà della Università degli Studi di Foggia, ha sviluppato il tema "Specchiarsi nel mito: Picasso, Ovidio e l'antico"ricorrendo anche a un ben selezionato corredo di immagini proiettate. Il relatore ha iniziato ricordando il costante, ma singolare, rapporto di Picasso con la cultura classica, sentita non come suggestione accademica, ma come richiamo al vitalismo primigenio del mito, in cui appunto specchiarsi, vedersi e riconoscersi; come un mezzo per riappropriarsi, in forme personali, di una sorgente viva dell'arte. Nella evoluzione artistica di Picasso si nota che egli estrae modelli e li manipola fino a un totale svuotamento di significanti e significato, creando una tecnica che non si lascia guidare dall'accademismo, convinto che esista una civiltà classica rinnovabile, ed egli non ne rinarra i contenuti, ma opera una creazione polidiretta, una rigenerazione di forme e la offre allo spettatore. Ha poi preso la parola il Prof. Arturo De Vivo, docente di Latino e Preside della facoltà di Lettere dell'Università "Federico II" di Napoli, presentando "Ovidio poeta di corte: visioni e oracoli dall'esilio". La relazione del Professore ha preso in esame tre elegie, delle quali è stato distribuito ai presenti il testo latino fotocopiato (Tristia, IV,2; Ex Ponto II, 1 e III, 4). Successivamente ha parlato il Prof. Aldo Luisi, docente di Latino dell'Università degli Studi di Bari, sul tema Carmen et error, da lui indagato secondo le tecniche del lavoro storico, oltreché di quello filologico (esso è anche oggetto dell'ultimo dei suoi scritti dedicati al poeta Ovidio). Ha esaminato e accostato tutte le 97 epistole (51 Tristia e 46 ex Ponto), attento al lessico, ai destinatari, alle occasioni e alla datazione dei singoli componimenti. Nella lunga epistola del secondo libro dei Tristia, indirizzata ad Augusto, Ovidio, delle due cause dell'esilio, dichiara che non parlerà dell'error, sì bene solo dell'opera con cui - questa era l'accusa mossa nei suoi confronti - si era fatto maestro di adulterio, cioè, l'Ars amatoria, opera giovanile dell'1 d.C. in tre libri, due indirizzati agli uomini innamorati e l'ultimo alle donne, con gustosi suggerimenti, a cui l'oratore fa qualche riferimento, opera destinata alla lettura di tutti, ma non delle matronae (a Roma si distinguevano tre categorie di donne: moglie, concubina e, come oggi diremmo, escort: uxor, paelex, meretrix); Ovidio, ne fanno fede i termini da lui usati, tipici del linguaggio giuridico, allude a un processo pubblico, ma l'accusa non regge, perché con le meretrices non si poteva commettere adulterio. Va però considerato un secondo punto: dal punto di vista giuridico, l'adulterio, in precedenza non era un delitto, era una questione da risolversi in famiglia, nell'ambito delle competenze del paterfamilias o del tutor; dopo il 18 a.C., con la lex Iulia de adulteriis coercendis, diventa invece una colpa pubblica, richiede un processo, l'intervento di un giudice e l'irrogazione di una pena, perché è contra legem. Ovidio comunque non è accusato di adulterio, bensì di esserne stato maestro, e da questa accusa si é difeso. Prende quindi la parola la Dott.ssa Stefania Montecalvo, ricercatrice dell'Università degli Studi di Foggia, che parla della "Consolatio di Filisco a Cicerone (Cassio Dione, XXXVIII, 18-29)". Richiamate le vicende che condussero all'esilio di Cicerone, e il quadro politico in cui si inserivano, con gli effetti della nascita del cosiddetto primo triumvirato e il passaggio di Publio Clodio nelle file dei popolari, la relatrice sottolinea le azioni tese a smantellare e colpire la politica e la persona di Cicerone, ad opera del tribuno Clodio che fa votare leggi volte ad annullare la politica di concordia ordinum perseguita da Cicerone, in particolare la lex Clodia sui comitia, nel 59, ai sensi della quale poi persegue Cicerone, reo di non aver concesso a Lentulo, uno dei Catilinari, il diritto alla provocatio ad populum. Conclusisi così i lavori, il prof Mele ringrazia l'attento, numeroso, qualificato e resistente pubblico, composto anche da molti studenti, ringrazia i relatori anche per il rispetto dei limiti di tempo dei loro interventi, e si augura che si possa in altra occasione analizzare ancora Ovidio e il suo mondo, alla luce dei recenti dati archeologici romani, a Roma e in Romania.

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