Il presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, è stato invitato dal Magnifico Rettore dell'università di Bari, Giovanni Girone, a tenere una relazione in occasione della cerimonia per l'ottantesimo anno di fondazione dell'ateneo barese, tenutasi questa mattina - 29 giugno - nel capoluogo di regione. Ecco l'intervento del presidente Florido:
"Leggere la storia dell'Università di Bari è come leggere la storia universitaria della Puglia (ma anche della Basilicata e dell'arco jonico-calabrese) fino alla metà degli anni '70. Il "boom" post-sessantottesco, infatti, fa dell'Ateneo barese il più affollato (dopo quelli di Roma e Napoli) e ne esalta la funzione pluriregionale, nonostante il profilarsi nel Meridione d'Italia di altre realtà accademiche statali.
In tale contesto, la situazione di Taranto non è diversa da quelle di Brindisi Foggia Cosenza Matera, province legate tutte (come la nostra) alle sorti di Bari; ma basta solo qualche anno perché l'insediamento tarantino si caratterizzi con una sua specifica peculiarità.
Infatti, quando la Regione indica Foggia come sede della terza università di Puglia, per Taranto (che resta così declassata a polo "non autonomo") si pone il delicato problema della scelta della "dipendenza", e questa scelta (anche se con qualche mugugno di stampo filo-salentino) finisce per privilegiare l'Ateneo barese.
Da questo momento dunque (siamo nella seconda metà degli anni '80) il rapporto tra l'Università di Bari e il territorio di Taranto cessa
di essere unidirezionale, ed esige dalle istituzioni joniche un impegno organico e diretto, strutturalmente determinante (anche se non totalizzante), a sostegno del nascente polo jonico-murgese.
La Provincia e il Comune di Taranto non si fanno cogliere impreparati dalla nuova realtà, perché già da tempo hanno dato vita a un consorzio misto tra enti pubblici e forze produttive del territorio, ma devono fare i conti con una risposta locale debole e frammentata.
Molti, infatti, sono i comuni che non aderiscono al Consorzio Universitario Jonico e, tra quelli che lo fanno, solo tre o quattro corrispondono con regolarità l'annuale contributo finanziario.
Altrettanto scoraggiante si rivela l'atteggiamento delle forze economiche e produttive, che (a parte la Camera di commercio, il Consorzio Stornara e Tara e la vecchia Italsider) preferiscono tenersi lontane dalla questione universitaria, quasi a confermare il sospetto che dalle nostre parti non sono pochi coloro cui fa comodo una formazione giovanile di basso profilo, perché è così che nelle aree del sottosviluppo si contengono le pretese dei "senza lavoro" e se ne calmierizza il mercato.
Ciò che è certo comunque è che, al di là d'ogni semplificazione, in fatto d'università l'azione della dirigenza politica locale è assai più lungimirante e concludente di quella dei privati, che non riescono a trovare una sufficiente motivazione per un loro diretto e significativo coinvolgimento.
Né si può dire che da allora le cose siano cambiate: infatti, l'interlocuzione con l'Università di Bari resta fondamentalmente limitata ai due maggiori enti locali (e al CUJ che ne è una derivazione), e nessun'altra istituzione accetta di farsene carico (a parte l'ASL con riguardo al solo segmento paramedico).
Insomma, la verità è che, senza il fattivo e determinante apporto della Provincia e del Comune capoluogo (oltre che del CUJ), l'insediamento universitario tarantino sarebbe rimasto solo un bel progetto irrealizzato (come già ce ne son tanti a Taranto…).
E tuttavia, sottolineare questa negatività non significa prendere atto di una situazione paludosa in cui la questione universitaria tarantina rischia ogni giorno d'impantanarsi; qui e subito occorre trovare le ragioni di una riscoperta dello stare tutti assieme per promuovere lo sviluppo del nostro territorio attraverso i fondamentali strumenti della formazione d'eccellenza e della ricerca, che solo un'università ben organizzata e attrattiva - come questa di Bari - può assicurare nel migliore dei modi e in tempi ragionevoli.
Ecco perché la Provincia che mi onoro di presiedere, per agevolare il compito degli Organi accademici, non si è limitata sin qui a sostenere finanziariamente il polo universitario tarantino, ma ha messo a sua disposizione importanti risorse umane e strutturali ed ha già provveduto (su mia personale iniziativa) a conferire in comodato gratuito a favore dell'Ateneo barese i due prestigiosi e modernissimi edifici di via Deledda (per Scienze della formazione e Lettere) e di viale De Gasperi (per Scienze ambientali e Informatica).
Inoltre, sono in corso d'attivazione le procedure per l'adeguamento e la successiva concessione in comodato (per Giurisprudenza) dell'ampio complesso edilizio provvisoriamente occupato dalla Corte d'appello, mentre ho l'orgoglio di confermare anche in questa autorevole sede la disponibilità dell'Ente a destinare ad un eventuale "campus" la vasta estensione terriera di "Ninco Nanco" con l'ampio (seppur incompleto) edificio che su di essa insiste.
Credetemi, Signori, sono impegni di non poco conto che, soprattutto alla luce della progressiva riduzione dei "trasferimenti" statali, comportano un onere sempre più rilevante per il bilancio dell'Ente, ma sono proprio questi impegni a testimoniare la significativa scelta
di campo fatta dall'attuale Governo provinciale che – in continuità con i precedenti Esecutivi – ha inserito i costi dell'università in
primissimo piano tra le spese d'investimento sulla base di questa semplice equazione:
università diffusa significa più formazione specialistica e più ampia possibilità di ricerca; e più formazione e ricerca comportano maggiori opportunità di crescita civile e di sviluppo economico-produttivo del territorio di riferimento, in un processo virtuoso d'autorigenerazione e di permanente innovazione.
Ma tale processo, proprio perché esposto ai venti delle altalenanti congiunture economiche e istituzionali, per non interrompersi o illanguidirsi esige il sostegno dei seguenti due fattori di vitalizzazione del sistema: coinvolgimento non occasionale e non formalistico delle forze produttive operanti sul territorio; graduale evoluzione del polo universitario "gemmato" verso traguardi dell'autosufficienza organizzatoria e finanziaria e, quindi, dell'autonomia della didattica e della ricerca.
Su entrambi i percorsi la Provincia di Taranto intende fare la propria parte, e in tale logica già da tempo va formulando proprie proposte, che qui brevemente riassumo.
Sotto il primo profilo occorre ammettere che il CUJ, oramai irrigidito in una funzione strumentale e sussidiaria, ha progressivamente perso il suo tradizionale peso politico e non è più in grado di progettare il futuro della nostra università, né riesce ad intercettare nuove risorse strutturali e finanziarie sostitutive (o almeno integrative) di quelle dei due enti locali maggiori.
E' tempo, perciò, di trovare uno strumento più duttile e meno autoreferenziale di quello consortile ovvero un nuovo soggetto istituzionale finanziariamente autonomo in quanto capace di coinvolgere attivamente i mondi della produzione e della finanza, ai quali non va più negato quel ruolo di co-protagonismo progettuale e propositivo finora incautamente riservato ai soli enti locali.
La Provincia ritiene che allo scopo ben si presterebbe un'apposita "fondazione", e in tale prospettiva sta organizzandosi sin dal mio insediamento, senza pretese di primogenitura ma anche senza opportunistici accomodamenti con chi la pensa diversamente.
Con riguardo al secondo aspetto di problematicità evidenziato, mi rendo conto che l'autonomia delle tre facoltà da cui dipendono alcuni corsi di laurea consolidati su Taranto (Economia, Giurisprudenza e Scienze naturali) è stata resa più difficile dalla recente normativa nazionale, rivelatasi poco illuminata e alquanto ragionieristica. Ma, come ho già cercato di sottolineare, l'autonomia è un essenziale fattore di tenuta dell'insediamento universitario tarantino, e questo "nodo" (che è di specifica competenza degli Organi accademici e di governo di codesta Università) non può più essere rimandato nel tempo.
Il pericolo che intravedo, infatti, è la fuga in avanti dei soliti scontenti che, prendendo a pretesto gli eventuali eccessi di cautela, tentino di rispolverare l'antico progetto d'università jonico-salentina (proprio in questi giorni rimesso in piedi in ambienti leccesi). Questo contesto noi non lo condividiamo anche perché penalizzerebbe l'impegno appassionato del magnifico rettore dell'università di Bari, Giovanni Girone.
D'altro canto, nessuno nega che il sistema universitario pugliese abbia bisogno di una messa a punto con il taglio dei "rami secchi" e il riequilibrio territoriale della complessiva offerta formativa, ma quest'azione, che rientra tra i compiti del CUR (Comitato universitario regionale), non può che seguire – logicamente e temporalmente – la correzione dei gravi errori di valutazione programmatoria commessi a danno del polo di Taranto (che, sia detto per inciso, vanta la stessa anzianità istitutiva di Foggia e conta una popolazione studentesca addirittura superiore a quella di molte università statali!).
A questo punto ci sarebbe qualche altra cosa da aggiungere con riguardo alla stanzialità dei docenti e alla necessità di potenziamento delle strutture e dei servizi destinati agli studenti (alloggi, mense, trasporti), ma sono argomenti che ci porterebbero lontano, ed io non intendo rubarvi altro tempo.
Sono convinto che l'Università per un verso, e l'EDISU per l'altro, sapranno assumere le iniziative necessarie per risolvere questi problemi che, altrimenti, non meno degli altri potrebbero compromettere il consolidamento del polo tarantino.
Ma una cosa è certa, ed è che gli sforzi dei singoli (dell'Università, della Regione, dell'EDISU, degli enti locali, delle forze economico-produttive) a nulla serviranno se non ci si organizzerà tutti assieme non solo per decidere le cose da fare subito, ma soprattutto per progettare e promuovere il futuro dell'insediamento universitario jonico-murgese che, emblematicamente, nell'attuale programma della Provincia di Taranto coincide, e quasi si confonde, col futuro della stessa comunità".