Aldo Moro trent'anni dopo, intervento del presidente della Provincia Gianni Florido

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"Esattamente trent'anni fa, il 16 marzo del 1978, il nostro Paese fu scosso da un evento destinato a cambiare la storia italiana. Mi riferisco al rapimento di Aldo Moro e al suo tragico epilogo che si consumò 55 giorni dopo. L'agguato delle Brigate Rosse costò la vita agli uomini del presidente della Dc: Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Oreste Leopardi. Ci sono molti buoni motivi per ricordare Aldo Moro ma ce n'è uno, in particolare, che più di altri credo sia utile richiamare in questo tempo carico di incertezze in cui dilaga la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Il suo coraggio, la sua profetica lungimiranza, le sue felici intuizioni, ma anche la fatica di costruire, giorno dopo giorno, il consenso necessario per portare a compimento determinate battaglie, ci restituiscono nitidamente, senza ombre, l'idea stessa, vorrei dire l'idealtipo, del servitore dello Stato. Perché Aldo Moro è stato innanzitutto un servitore dello Stato che non temeva l'impopolarità, una persona straordinaria che sapeva far valere le sue ragioni senza ignorare quelle degli avversari. Un uomo che ha dedicato la sua vita alla politica intesa come strumento di cambiamento per la costruzione del bene comune. Lo statista pugliese, meglio e prima di altri, seppe lucidamente cogliere le nuove istanze che in anni turbolenti si levavano dalla società italiana, attraversata da profondi mutamenti economici e alle prese con forme più avanzate, e fino ad allora sconosciute, di partecipazione alla vita pubblica. Il boom economico, il Sessantotto, gli opposti estremismi degli anni settanta, i delicati equilibri internazionali, imponevano una rilettura dei rapporti tra le maggiori forze politiche che si muovevano nel solco tracciato dalla carta costituzionale. Nel 1973 Enrico Berlinguer indicava esplicitamente "la prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari d'ispirazione comunista e socialista con le forze popolari d'ispirazione cattolica"; un tema che stava a cuore e già da diversi anni proprio ad Aldo Moro, il quale aveva ben chiare le positive ricadute di una possibile collaborazione con il partito comunista, soprattutto se riferita alla necessità di garantire basi più solide alla fragile democrazia italiana non del tutto insensibile, da un lato, alle pericolose pulsioni reazionarie che guardavano con favore alla svolta autoritaria e, dall'altra, minacciosamente indebolita dalla follia di quanti, in nome del popolo e per la causa della Rivoluzione, auspicavano senza se e senza ma "l'abbattimento dello Stato borghese". Ma i terroristi, accecati dal fanatismo ideologico, con il popolo, quello vero, non avevano nulla a che fare perché mai avrebbero potuto interpretare e rappresentare i bisogni di milioni di italiani che ogni mattina si alzano presto per andare a lavorare e per fare sostanzialmente il proprio dovere. Donne e uomini che chiedevano alla classe politica risposte concrete alle loro domande di sicurezza, di lavoro, di emancipazione e che, proprio per questo, si riconoscevano essenzialmente nei partiti di massa e nelle loro proposte programmatiche che contribuivano, anche con la loro militanza, ad elaborare. Partiti autenticamente popolari, capillarmente organizzati su base territoriale, dove la selezione della classe dirigente iniziava dal basso per poi essere celebrata nei congressi; grandi soggetti politici tendenzialmente refrattari alla "democrazia dell'applauso", per usare un'emblematica espressione di Norberto Bobbio con la quale si indica la vocazione al leaderismo e al plebiscitarismo. I partiti della cosiddetta Prima Repubblica, pur criticabili per altri molteplici aspetti, erano guidati da personalità di indiscutibile valore anzitutto sul piano culturale prima ancora che politico. Aldo Moro era uno di loro, era "un uomo mite e buono", come lo definì papa Paolo VI, affezionato alla sua famiglia, un grande protagonista della storia di questo Paese, un esponente illustre della Democrazia Cristiana, un docente universitario attento e scrupoloso che con la ricchezza del suo magistero illuminò i suoi studenti sulle questioni più rilevanti della filosofia del diritto e della dottrina dello Stato. Aldo Moro, come molti sanno, aveva un legame profondo con la nostra terra. Frequentò il liceo Archita di Taranto e andava a messa nella chiesa di San Pasquale. Come Amministrazione provinciale intendiamo ricordarlo a maggio, nel giorno che ne segnò la morte per mano di vili assassini, in un convegno che organizzeremo in suo onore. Per non dimenticare che la politica può tornare ad essere affascinante se diventa esperienza collettiva al servizio della comunità". Gianni Florido

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